Una delle doti di chi ha pensieri guidati dall’ansia è quella di avere sempre tante voci pronte a consigliare 🙂 .
Se avete l’impressione di sentirne solo una, è perché quella sta urlando più delle altre.
Il giorno del ricovero. L’infermiera mi disse: “Caterina è ora, seguimi”. Oddio, pensavo, che è? Sembravo il giustiziato chiamato a morte.
“Ora ti fa un sacco di domande idiote, e tu devi rispondere in modo equilibrato per farlo contento, sennò non esci di qui” diceva una voce.
L’altra: “Ok, quando ti fa domande idiote guardalo dritto negli occhi e digli quanto sono inutili alcune domande”.
L’altra ancora: “Ti conviene non parlare”.
E poi ce ne era anche un’altra: “Dì tutto quello che hai dentro”.
Insomma arrivai nella stanza del colloquio che avevo una tale confusione in testa che non riuscii a sentire le prime parole dello psichiatra. Penso di aver sorriso e di aver risposto semplicemente “Ok”.
Non lo avessi mai fatto! Le mie voci interne si ribellarono, tutte.
In quel momento capii cosa provavano gli schizofrenici.
Per fortuna lo psichiatra che mi “colloquiò” non mi “colloquiò”, in senso che mi guardò in faccia e dopo qualche istante iniziò a scrivere per mezz’ora senza dirmi niente fino alla fine.
Le sue parole furono: “Ecco fatto, rimarrai con noi per un po’, dopo tutto sei abituata”. Si alzò e se ne andò.
Cosa vuol dire per un po’? E cosa vuol dire tanto sei abituata? Perché non lo hai chiesto? Perché non gli hai strappato la cartellina dalle mani per chiedere spiegazioni?
Troppo tardi tempo scaduto.
Calma ragazze, dissi tra me e me, ora metto a posto tutto.
Tornata in camera, ormai con la testa in confusione, capii cosa stava accadendo. Il mio dialogo interno (le voci che sentivo nella mia testa) non era frutto di schizofrenia ma semplicemente stavo dando voce alle mie emozioni e ognuno si esprimeva dal suo punto di vista.
La rabbia era quella che mi aveva consigliato di strappare la cartella in mano dello psichiatra che non mi aveva dato spiegazioni.
La paura era quella che mi aveva consigliato di rispondere in maniera educata per non rimanere li dentro a vita.
La tristezza era quella mi aveva consigliato di sfogarmi.
In quel momento sinceramente non avevo la lucidità tale per andare oltre, ma almeno mi ero tranquillizzata nel sapere che non ero schizofrenica.
Quindi, rassicuro anche voi.
Quando ci lasciamo prendere da stati di agitazione a parlare sono le nostre emozioni, ognuna dice la sua. Avete presente il film Inside Out? L’idea è molto utile. Immaginare che ogni emozione abbia un corpo e una faccia, un’espressione, è molto utile per poterla gestire.
Quando faccio coaching con persone che provano questi stati la prima cosa che consiglio è proprio quella di ascoltarle.
Dato che io non sono immune a questi momenti, quando succede immagino di essere un’addetta alla selezione del personale. Le colloquio tutte e poi faccio una scelta se è utile, sennò gli chiedo di ripresentarsi alla prossima richiesta 😀 .
Quando capitano quelle situazioni che ci creano disagio, automaticamente creiamo delle emozioni correlate. Allora la domanda è: mi sono utili per gestire quello stato? Finché non si trova una risposta sensata loro non se ne andranno, garantito, anche perché solitamente si tenta di combatterle. Vi assicuro che combattere con le emozioni è come una battaglia contro i mulini a vento. È come se una persona vi bussasse alla porta e voi senza sapere cosa vuole gli sbattete la porta in faccia. Secondo voi è educazione? No, e non lo fareste mai con gli altri, ma con voi stessi sì.
Allora, concedete alle emozioni di esprimervi ciò di cui hanno bisogno, e poi scegliete la voce utile per voi in quel momento. Potreste avere la sorpresa di scoprire quanto si sta bene anche in silenzio.